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ECLIPSE
PARTE DUE
MOON KNIGHTS
Di Igor Della Libera
New York
Presbyterian Hospital. Area Quarantena. 21.00
Ti chiami Mike Harris. Sai di essere uno dei migliori
quando c'è da parlare alla gente. Questa è un'edizione più straordinaria delle
altre. Sei uno dei primi cronisti ad essere arrivato davanti all'ospedale dove
è stata approntata l'unità di crisi. E' appena andato in onda un servizio sulla
strana epidemia di follia che ha infuocato la lunga notte della città. Adesso
si torna in onda e tocca a te. Devi usare la tua voce per dare notizie e
speranza alla gente confusa e spaventata che si è chiusa in casa e guarda con
sospetto ogni ombra fuori dalla finestra.
-La sicurezza nazionale ha avviato il protocollo di
emergenza. Oltre le mura che vedete alle mie spalle un gruppo formato dai
migliori scienziati, esperti di materie parascientifiche e superumane ed
epidemiologi, vista la natura virale del problema, hanno iniziato a condurre la
loro battaglia contro il morbo che diffonde rabbia omicida in città. Sono in
cerca di una cura e della risposta alla domanda più importante che molti, da
quando i primi casi sono stati accertati, si stanno ponendo: da dove viene?
La faccia di Mike Harris, nonostante il pizzetto ben curato
e il piglio deciso delle sue parole, tradiva la sua stessa paura. Non era nuovo
a situazioni del genere. Eppure questa non riusciva ancora a decifrarla ed era
ciò a spaventarlo. Mike Harris aveva già raccontato altre crisi, la città era
nota per aver subito attacchi di ogni genere, eppure c'era qualcosa di diverso
nelle notizie di scontri, nelle esplosioni di immotivata violenza, nel sangue
nero di persone innocenti che sporcava le strade. La minaccia era subdola, si
nascondeva negli occhi di gente normale e poi divampava improvvisa, senza
ragione.
Ecco la differenza: non c'era un nemico preciso da
combattere. Nessun gigante viola dal vorace appetito, nessuna invasione aliena da
uno squarcio nel cielo. Mike Harris come le persone a casa o gli sfortunati che
non l'avevano raggiunta in tempo sapeva che tutti potevano diventare una
potenziale minaccia. Concluse così prima di passare di nuovo la linea allo
studio dove era stato approntato un talk show per discutere dell'emergenza. Nel
patinato salotto della rete con le poltrone rosse e la scenografia che
riproduceva la skyline della città si confrontavano diversi esperti e voci
critiche che già in passato avevano messo in dubbio l'effetto positivo della
presenza di così tanti eroi in città.
-Eroi chiamano criminali e questi nel tempo sono passati
dal rapinare le banche a progettare piani sempre più brutali e terroristici. Il
male che in questa lunga notte sta divorando le nostre strade è colpa di chi si
è auto eletto difensore delle stesse.
Manfred Grey era uno degli analisti della polizia di New
York più bravi, ma non era certo una persona che conosceva la misura nelle
parole e alla diplomazia preferiva lo scontro.
-Non tirerò in ballo frasi fatte sul mondo e sul suo
bisogno di eroi.- replicò Virginia Sand, scrittrice del libro “New York tra
bene e male” - Io la vedo in modo diverso. New York adesso è come un corpo
malato, il virus la sta attaccando. Ma la città è ancora viva e svilupperà i
suoi anticorpi. C'è sempre stato un equilibrio e questo verrà mantenuto e a
farlo ne sono sicura, come in altre occasioni, saranno i nostri eroi. Eroi che
non lo sono per mettersi un costume ed ergersi sopra gli altri, ma per
indossarlo e prendersi la responsabilità, derivata dai loro poteri, di aiutare
e salvare gli altri.
Manfred si produsse in un applauso polemico.
-Se ha finito di fare promozione al suo libro vorrei,
vorrei dire qualcosa di importante alla gente che ci sta ascoltando, persone
che come noi in questo studio hanno paura e ne hanno ancora di più perché non
ne conoscono il motivo. A loro, ai miei concittadini che credono in una vera
giustizia voglio dire che non saranno certo dei vigilantes a liberarli dal
terrore. Devono aver fiducia nella polizia, nella guardia nazionale, nei nostri
scienziati in chi porta un camice, una divisa e non un costume variopinto.
Harlem. 21.25
-... e non un costume variopinto.
La voce veniva dall'interno di un taxi. Le portiere erano
aperte e la macchina stava parcheggiata malamente sul marciapiedi. Il cofano
era a pochi cm da un idrante. Harlem di notte era una zona pericolosa e scene
come quella non erano certo una novità. Intorno alla macchina non c'era nessuno
e solo il suono meccanico rompeva un silenzio innaturale. A questo si
aggiunsero i passi di Luke Cage che accortosi del Taxi lo stava raggiungendo di
corsa. Preoccupato da quello che poteva trovare nella macchina.
Preoccupato soprattutto perché sapeva dalla tv che non si
trattava di una notte come le altre. Non lo era a New York. Non lo era lì nella
sua Harlem. Da quando aveva lasciato il
suo ufficio al secondo piano del Gem Theather nella 42° Strada aveva
attraversato alcune strade, trovandole deserte. Le uniche luci erano quelle
sparute luci dietro le finestre delle case che si affacciavano sulle arterie
principali di quel cuore che aveva rallentato il suo ritmo.
Guardò dentro la macchina gialla. C'era un ipad sul sedile
che liberava la voce dell'analista televisivo e la sua faccia truce che inveiva
verso gli eroi infastidì a tal punto Cage che con un pugno sfondò
l'apparecchio. Si infilò nel taxi vedendo che c'erano macchie di sangue sui
sedili davanti, che un finestrino era sfasciato e che il rosso tinteggiava
anche il volante.
Girò intorno alla macchina vedendo che il sangue andava nel
vicolo coperto dal taxi. Sapeva dove portava quella stradina incassata tra
vecchi edifici. Oltre c'era un parco dove i giochi di un tempo erano coperti di
erbacce e ruggine e sotto queste era soffocata l'aria festosa di quel luogo.
Quando sbucò dall'altro lato davanti al cancello mezzo
aperto vide che c'erano delle prostitute che urlavano contro qualcuno e lo
prendevano a calci. Più in là quello che era sicuramente il tassista era stato
legato ad un albero e due persone in abiti eleganti gli stavano attorno e lo
colpivano con quello che avevano trovato tra i resti del parco.
-Mi sembra di tornare in carcere a quando nelle ore d'aria
si sfogavano i peggiori sui più deboli. Almeno lì sapevo chi andava difeso e
chi preso a pugni ma qui... è tutto dannatamente difficile... spinse in là il
cancello facendo abbastanza rumore per far girare le prostitute e tipi vestiti
bene.
Le prime tenevano in mano temperini taglienti, i secondi abbandonarono l'albero e si mossero
verso Cage battendo i bastoni sui palmi delle mani come a far capire che era
sconfinato nel territorio sbagliato.
-La tv non esagerava. La gente normale non lo è più.
Qualcosa gli ha fatto perdere un bel po' di rotelle... Non posso sperare di
farli ragionare con le buone...- il suo braccio parò senza difficoltà l'affondo
di una spranga e con l'altro disarmò il tipo che indossava un completo scuro e
che se non avesse avuto le nocche sporche del sangue del tassista e gli occhi
di un toro che vede sempre rosso, si poteva pensare che fosse appena uscito da
una cena elegante o da un concerto all'opera.
-... ma dovrò necessariamente limitare le cattive. Loro non
sono mica invulnerabili.
Lo stava per colpire quando sopra la sua testa sentì il
verso di un uccello e poi un falco piombò verso le prostitute e le spaventò con
il suo attacco tanto da allontanarle dalla loro vittima. Cage teneva bloccati i
due dell'alta società quando dal cielo scuro Falcon planò vicino all'uomo
legato e con il suo artiglio metallico lo liberò con un colpo secco.
-Questa gente ha un solo imperativo, fare del male è come
se non ci fossero più freni. Solo Mr Hyde senza dottor Jekyll. Quelle donne le
conosco... non sono mai state delle violente ma adesso vogliono farci a
pezzi...- disse Falcon che nella sua identità segreta era stato un'assistente
un assistente sociale che conosceva bene il disagio di quell'area urbana.
-Quel tipo l'hanno già conciato per le feste, un lavoretto
che non dimenticherà mai.
-Quel tipo è il loro pappone, non dico che se lo merita
ma...- Falcon richiamò Redwing che si posò sul suo braccio.
-Cosa proponi di fare? Stanno per attaccarci e non possiamo
certo trattare questa gente alla stregua di criminali.
-Non sono uscito impreparato. Ho già avuto a che fare con
ondate di pazzia e bombe della follia. Non so se dietro ci sia il ritorno di
quell'infernale macchinario scombussola cervelli, ma so che in questi casi dei
dardi tranquillanti sono la soluzione migliore.
Nel tempo di dirlo dai polsi di Falcon scattarono delle
piccole freccette che stesero con precisione le prostitute e gli uomini
eleganti. Cage si trovò tra quella gente priva di sensi, ma che almeno non
sarebbe impazzita più, il pappone sconvolto e pieno di lividi e il tassista
svenuto appoggiato all'albero.
-Dobbiamo occuparci dei feriti e metterci in contatto con
le squadre di recupero della polizia per portare questi poveretti nell'area di
quarantena al Presbyterian. Conosco il protocollo da quando stavo nei
vendicatori. Hanno una zona sotterranea segreta ultra protetta.
-Occupatene tu io continuerò a perlustrare il quartiere nel
caso questi non siano state le uniche vittime dello strano virus che ha colpito
la città e se mi capiterà di incontrare chi sta incasinando Harlem e la città,
tanto peggio per lui.
Cage affondò un pugno contro il palo di un'altalena e lo
piegò in due. Falcon rispose solo con un mezzo sorriso prima di mettersi in
contatto con le squadre di recupero.
***
New York University. 21.50.
Howard Green non era certo popolare tra i suoi compagni.
Per questo non si era stupito di non essere stato invitato alla festa del
dormitorio. Non faceva più caso alle esclusioni. Era rimasto nella sua camera a
sperare che le cuffie e la musica a tutto volume avrebbero allontanato le urla
di gioia, le voci e le risate alcoliche che provenivano dal cortile interno
dell'edificio.
Dopo un'ora di canzoni si alzò dalla sedia e sempre
indossando le cuffie e regolando al massimo il volume dell'mp3 uscì dalla sua
stanza diretto alla macchinetta delle bibite e delle schifezze che si trovava
in corridoio. Aveva bisogno di qualcosa di dolce anche se sapeva che non
esisteva un prodotto capace di togliere l'amaro alla sua vita.
Era troppo preso dalla canzone, dall'infilare le monete e
digitare il codice per accorgersi che dalla porta sul fondo che comunicava con
l'esterno stavano entrando alcuni dei partecipanti alla festa. Indossavano le
magliette di qualche confraternita. Non si muovevano come ubriachi, ma come
robot. Uno di loro aveva in mano un coltellaccio sporco di sangue. Howard Green
stava per avere una morte anonima e senza senso come la sua esistenza, ma nel
momento in cui lo studente armato era vicino ad infliggere la coltellata letale
una freccia gli attraversò il petto passandolo da parte a parte. Fu come se
andasse in cortocircuito. Colpito dal dardo etereo cadde all'indietro e il
coltello gli scivolò dalle dita. Howard Green si girò e vide una figura che
portava una maschera fatta di piccole lacrime cristalline. Si abbassò vedendo
che dal suo arco partiva un'altra freccia. La seguì con lo sguardo assistendo
al fenomeno soprannaturale che accompagnò il passaggio di questa attraverso la
fronte dell'altro assalitore. Cadde fulminato a terra e il suo sguardo prima di
chiudersi sul soffitto fu scosso da una specie di inchiostrò nero che ne annegò
le pupille come fossero piccoli calamai.
Howard si tolse le cuffie giusto per sentire il demone
delle lacrime che gli diceva di raggiungerlo.
-I tuoi occhi non sono colmi di male, tu puoi essere
salvato. Non ci sarà il dolore della redenzione per te. Seguimi e ti aiuterò.
Howard ubbidì e andò verso l'uscita. Lui non sapeva che
dietro quelle fattezze strane e il potere che gli permetteva di generare armi,
c'era una studentessa di qualche anno più vecchia di lui. Conchita Alonso, dopo
l'avventura con Moon Knight, aveva continuato ad usare la maschera riuscendo a
non esserne più schiava. Le notizie vomitate dalla radio sulla notte senza fine
travolta dall'inspiegabile ondata di violenza, avevano però risvegliato il
bisogno della maschera, quello che pensava di aver imparato a dominare.
Indossato il volto di lacrime non era riuscita a salvare i ragazzi colpiti dal
morbo, né a fermare degli uomini in nero che era sicura fossero gli untori di
quella peste dell'anima, ma almeno Howard Green non aveva avuto il tempo di
piangere.
Il demone si fermò sulle scale dell'ingresso spingendo
indietro Howard Green. Tre frecce si piantarono sul gradino ed emisero uno
strano gas. Il demone lo spinse via facendo vorticare la spada che aveva creato
nel momento di quel nuovo pericolo.
-Chiunque vada in giro con una maschera come la tua ha
molto da nascondere e io intendo scoprire cosa. Adesso sta a te faccia di giada
scegliere tra le frecce buone e quelle cattive.
Green era rannicchiato contro la parete e guardava in
direzione di chi aveva parlato. Non era un esperto di super eroi e quindi ai
suoi occhi la ragazza con il costume nero d'arciere non gli diceva nulla. Non
sapeva che il suo nome era Black Arrow e che dietro la maschera identica a
quella della defunta Mimo, si celava il bel viso di Kate Bishop, studentessa e
occasionale spalla del vendicatore Occhio Di Falco.
-Ti conviene mettere giù la spada prima di trovarti con le
mani più bucate della Kardashian nel giorno dello shopping.
-Le tue parole nascondono lacrime.
-Ultimo avvertimento abbassa lo spiedo perché ti assicuro
che se non lo farai non sarò io quella che finirà per piangere.
Howard Green trovò la forza di parlare, di alzarsi e
spiegare anche se la voce aveva la consistenza della gelatina.
-Ferma... siete dalla stessa parte... è stata lei a
salvarmi.
Black Arrow si convinse che le cose stavano in quel modo.
Si avvicinò al demone e sentì uno strano brivido.
-Quindi vuoi dire che dovremmo fare squadra. Un Team Up?-
guardò verso il demone che non comprendeva nulla di quel discorso- speravo che
la mia prima volta sarebbe stato con qualcuno di noto...e non di totalmente
sconosciuto come... non so nemmeno chi sei?.
-Sono il demone delle lacrime.
Black Arrow tacque e per un attimo fu il silenzio prima che
le sirene delle macchine della polizia e di un gruppo di ambulanze tornassero a
squarciarlo. La città era tornata ad urlare il suo dolore per il male che la
stava consumando.
***
Presbyterian Hospital. 22.15.
Ti chiami Mike Harris e hai appena visto il tuo cameraman
morire con il collo spezzato da una donna enorme vestita con un body di pelle e
capace di uccidere letteralmente a mani nude un uomo. Il suo cadavere sembra
che ti guardi, ma è solo la testa piegata in quel modo innaturale a darti
l'impressione che lo faccia. Ti nascondi dentro al camion della tv sperando che
quella donna non si sia accorta di te. Hai visto che con lei c'è un uomo
vestito con un gessato bianco a righe scure. La sua faccia, anche se l'hai solo
scorta di sfuggita, ti è sembrata qualcosa di impossibile. Forse era dipinta
eppure sembrava che quel nero più scuro e denso della pece fosse il suo colore
naturale. Non sono soli dietro di loro corrono uomini armati. Sparano contro i
poliziotti in difesa dell'ospedale dove si cerca una cura alla follia.
Chi sono? Cosa vogliono? Mike Harris sei un ottimo
giornalista, ma la paura annebbia la tua mente se no faresti l'operazione più
semplice. Due più due. Quelli all'esterno sono i nemici che tutta la città sta
cercando. Quelli lì fuori sono i vermi che stanno corrompendo la grande mela.
Preghi in silenzio perché passino oltre e quando esplodono colpi di arma da
fuoco e urla di poliziotti speri che siano rimasti a terra uccisi dai difensori
dell'ospedale.
***
Mike Harris uscì circospetto dal suo rifugio. Una macchina
della polizia era rovesciata come uno scarafaggio. I vetri delle porte
d'ingresso erano diventati coriandoli taglienti disseminati sull'asfalto.
Alcuni poliziotti ne soccorrevano altri. I soldati della guardia nazionale si
riprendevano dall'attacco feroce e guardavano i caduti tra i loro compagni.
Mike Harris si muoveva in uno scenario di guerra e non sapeva cosa fare, cosa
dire, poi facendosi coraggio raccolse la telecamera dal corpo del suo amico.
***
Marc era trasportato dalle parole di Khonshu dentro la stanza
alla fine del corridoio di pietra, la camera dove il primo Eclipse il serial
killer egiziano che aveva tracciato linee di sangue nel regno dei Faraoni stava
per compiere il sacrificio definitivo. Era come se vedesse con gli occhi del
dio anche se allora, quando Khonshu mise piede nella tana di quel mostro era
nel corpo di un uomo, un' agente dedito alla causa della giustizia che,
influenzato dallo stesso dio, portava addosso il simbolo della luna, il disco
argentato che scaccia le tenebre e rende la notte meno terribile
La stanza era ricavata nella roccia, c'erano altari
disposti a cerchio. Dall'alto sarebbero apparsi per quello che erano, l'effige
di un’eclissi di sangue e orrore. Su ogni ara delle vittime e al loro fianco,
con i coltelli sollevati e imbevuti del sangue dei sacrifici, persone semplici
come quelle che avrebbe potuto incontrare nei mercati delle città. Al centro il
suo sguardo si soffermò sull'artefice di tutto quello: Eclipse. Il nemico lo
accolse con una fredda risata.
-Sei arrivato in tempo per essere il testimone del ritorno
del dio dimenticato. Mi darà il potere di rovesciare il faraone e di prendere
il suo posto. E il mio trono sarà fatto con le ossa e la carne dei miei nemici
a partire da te che sei stato la spina più lancinante nel mio fianco.
Khonshu raggiunse subito la corta daga a mezzaluna. Il
mantello bianco si mosse alle sue spalle rivelando il torso nudo tatuato con le
fasi lunari.
-Cosa hai fatto a questa gente?
-Ho aperto loro gli occhi, gli ho permesso di vedere con i
miei. Il dio dimenticato deve tornare a camminare sulla terra e per farlo userà
queste persone come passaggio. I loro corpi sono pieni di energia nera
scaturita dal loro lato oscuro alimentato da questi sacrifici. Io sarò quello
che riceverà più potere e avrò un mio esercito, una legione di esseri negativi
imbevuti della forza del dio dimenticato. E allora l'eclissi non sarà più solo
un segno che in questi mesi ha riempito di paura la gente, sarà quello che
vedranno per sempre: un cielo nero dentro e fuori di loro.
Marc era Khonshu quando sollevò la sua arma e la scagliò
contro Eclipse. Il serial killer rimase fermo come se sapesse che sarebbe
intervenuto a difenderlo un potere superiore. E così accadde, la terra tremo,
dal soffitto si staccò un pezzo di roccia che impattò contro la daga
seppellendola sotto di essa. Spuntava solo la lama a mezzaluna, fosco presagio
di quello che sarebbe accaduto di lì a
poco. I posseduti intonarono un canto fatto di una sola parola: Eclipse. La
stanza continuò a tremare e gli altari iniziarono a sprofondare nella terra
come risucchiati trascinando con se le vittime che li insanguinavano.
-E' iniziato il conto alla rovescia quando tutti gli altari
saranno spariti il dio non sarà più dimenticato e io diventerò il suo araldo
sulla terra.
Il posseduto da Khonshu era circondato dagli invasi
dell'eclissi. Uno scriba maneggiava la lancia con la stessa perizia che metteva
nello scrivere sui papiri. Khonshu si tolse il mantello staccandolo dai
fermagli dorati sulle spalle e lo uso per imprigionare l'assalitore e poi
colpirlo con forza alla testa. Tre altari erano scesi negli inferi da cui
sarebbe uscito il dio di cui si riempiva la bocca Eclipse.
-Sei solo contro tutti, non sei altro che sabbia contro il
vento. Sarai spazzato via prima ancora che ti renda conto di quale sarà il tuo
destino. Non vedrai la notte del nuovo giorno.
-Finchè avrò fiato in questo corpo combatterò, sono stato
addestrato per essere un difensore degli innocenti e un vendicatore...
-Il tuo addestramento non ti ha certo preparato alla forza
primordiale che sto per scatenare, un' un altro mondo sta per venire a divorare
questo e io sarò in prima fila quando sui resti vomitati dal dio dimenticato lo
ricostruirò sotto il segno dell'eclissi.
L'ultimo altare era caduto in un baratro insondabile. La
roccia continuava a staccarsi sotto i colpi del terremoto che non aveva nulla
di naturale.
-Lo sento, sta fluendo in me. Lo sentono anche gli altri
suoi figli. Spegnete la luna.
Il cerchio di folli si stringeva sempre più proprio come
l'ombra di un’ eclissi sull'astro di cui portava con fierezza il nome. Gli
ultimi barlumi del bianco delle sue vesti vennero soffocati dai corpi che lo
ricoprivano. Pugnali scintillarono in cerca delle sue carni. E poi avvenne
qualcosa che Eclipse non aveva considerato. Il Dio non era stato dimenticato,
ma bandito dalle altre divinità. Questa verità scorse dentro il corpo del
cavaliere bianco e Khonshu illuminò con
l'energia della vendetta i suoi tatuaggi. Il dio della giustizia gli conferì
una forza nuova, superiore a quella che gli aveva dato durante le notti di luna
proporzionale alle sue fasi e con
questa, con una luce intensa, ma fredda spazzò via gli assalitori. L'uomo non
era più semplicemente un contenitore ma stava diventando il dio stesso. Eclipse
estrasse le sue lame rotonde, le agganciò ai polsi metallici e si lanciò su
Khonshu.
-Vedo che qualcuno in cielo ha deciso di intervenire in
favore dei piccoli insignificanti uomini. Dei che già in un tempo in cui l'uomo
era un solo un pensiero si sono macchiati del crimine di bandire uno dei loro e
di costringerlo ad essere dimenticato
Khonshu e Eclipse combatterono. Le lame rotanti di uno
contro le mezzelune dell'altro. Si ferirono, il sangue colorò le loro carni, ma
nessuno aveva intenzione di cedere. Eclipse e Khonshu erano diventati
qualcos'altro. Una metafora di bene e male. La battaglia tra i due si spostò
sull'orlo di uno dei crepacci aperti dal crollo degli altari. Sapevano che
quello era l'ultimo atto. Lo leggevano l'uno negli occhi dell'altro.
Sotto di loro il vuoto. Senza più armi erano un intreccio
di colpi, calci e pugni.
-Non doveva finire così, ma se questo è il modo in cui il
dio dovrà essere di nuovo dimenticato e io con lui, allora anche la luna dovrà
finire nell'abisso.
Eclipse si lanciò su Khonshu, lo afferrò al petto con le
braccia e lo trascinò nel crepaccio. Caddero velocemente, ma Khonshu ebbe la
prontezza di usare l'ultima arma rimastogli, una catena terminante con un
uncino. Lo roteò e poi lo scagliò in su con la forza che gli rimaneva. L'uncino
si agganciò alla roccia, ma Eclipse non precipitò nello spostamento e si
aggrappò alle sue gambe.
-Verrai con me.
-Non oggi.
Eclipse si era attaccato alla cintura dorata, errore perché
Khonshu la staccò facendolo cadere nel buio che non aveva fine. Iniziò la
risalita, ma il terreno roccioso che puntava nelle tenebre iniziò a
sgretolarsi, la stanza stava sparendo pezzo dopo pezzo.
Khonshu riemerse dal buco e vide che le persone che aveva
colpito con la luce erano ancora ferme. Non si sarebbero riprese in tempo. Una
voce terribile echeggiò lungo le pareti che si spaccavano e cadevano verso il
basso con il fragore di roccia che si distruggeva.
-Khonshu pagherai per quelle che hai fatto, io tornerò.
-E io sarò qui ad aspettarti e a ricacciarti nell'oblio.
Questa è la mia missione, illuminare le tenebre.
Khonshu provato dalla battaglia lasciò il corpo del
cavaliere bianco. Questo, ritrovatosi di colpo umano, corse braccato dagli
sbuffi di sabbia bollente come soffi di drago, che si sollevavano dallo
squarcio nelle dune dove un tempo c'era il tempio di Eclipse. Si proiettò
all'esterno sulla sabbia calda illuminata dal sole del mattino mentre il dio
tornava prigioniero nel luogo in cui si sarebbe persa di nuovo la sua oscura
memoria. Il cavaliere si rialzò e guardò verso il disco che bruciava nel cielo.
La sua vita non sarebbe più stata guidata dalla luna, altri uomini per altre
missioni avrebbero preso il suo posto.
Marc venne travolto da una serie di immagini di eventi che
seguirono alla caduta di Eclipse e capì finalmente perché la statua dell'uomo
diventato dio, del giustiziere trasformato per salvare il mondo
nell'incarnazione della giustizia e della vendetta si trovasse in quella
grotta. Era in ricordo di quello che aveva fatto, del mondo che aveva salvato
dall'eclissi finale.
Marc adesso sapeva anche se non tutto gli era chiaro.
-Ora aprirai gli occhi Marc e io sarò in te e insieme
fermeremo il nuovo araldo dell'eclissi. Avrai bisogno di tutto l'aiuto perché
questo mondo è diverso dal mio, e il male può contare su forze potenti, su
emissari letali.
-Storia già sentita. Vorrei tanto sapere chi è questo nuovo
Eclipse, di sicuro ringrazierò lui per quello che mi è successo. Mi sono
comportato con Marlene come quegli invasati nel tempio. Ho quasi rischiato di
ucciderla. Eclipse non ha cambiato il suo piano lo ha solo perfezionato. Avrà
bisogno come allora di tramiti, portali umani, per far risorgere il suo dio.
-Questa volta non vuole solo il mondo, ma vendicarsi di me
come mi aveva promesso. Ti ha infettato per fare in modo che riemergessi. Una
volta che sono tornato in questo mondo il legame che ci unisce gli ha fatto
scoprire la tua identità come mio avatar. Accortosi che io non c'ero più ti ha
torturato per risvegliarmi. Ti ha
colpito attraverso il tuo amore per Marlene, attraverso il tuo passato riemerso
con le lacrime di chi avevi fatto soffrire. Se hai patito queste pene è solo
colpa mia. Tutto questo tuo dolore l'hai subito perchè Eclipse potesse arrivare
al suo vero bersaglio. Se è Khonshu che vuole Khonshu avrà.
Non era il tempo per urlare contro un dio. C'era una cosa
però di cui Marc voleva essere sicuro.
-E' bello sapere che anche voi divinità proviate il senso
di colpa. Niente faccende personali però una cosa ti chiedo, una soltanto.
Stringiamo un patto. Salveremo il mondo e se non moriremo nel tentativo, alla
fine te ne tornerai dove stavi prima che Eclipse venisse a farti il solletico.
Khonshu tacque e Marc si svegliò spalancando gli occhi e
gridando il suo nome.
Presbyterian Hospital. 22.45.
-Li sento. Cantano nella mia testa. I loro pensieri sono i
miei.
-Non affezionarti troppo ai tuoi infettati. Hai sentito
cosa ha detto Eclipse, il tuo sangue negativo ha aperto le loro menti i loro
corpi, ma non l'ha fatto perché tu avessi un orgasmo.
-Sei sempre molto arguta Man Killer. Li ho preparati per
l'avvento attraverso di loro di quello che Warren ha chiamato il dio
dimenticato.
I due criminali parlavano tra loro ignorando le grida delle
infermiere, dei medici. Le urla della gente che cercava di scappare a
quell'attacco improvviso condotto con l'arroganza di chi sapeva di avere
abbastanza potere per entrare dalla porta d'ingresso senza subire danni. La
squadra paramilitare che li accompagnava era invece mossa dalla professionalità
di chi non batteva ciglio nell'uccidere degli innocenti colpevoli solo di
lavorare lì in quella notte della lunga paura o di freddare i poliziotti e i
soldati che cercavano ancora di creare una barriera tra l'avanzata dei
criminali e l'area di ricerca e quarantena.
-Si sono condannati a morte con le loro stesse mani.
Avevamo un numero preciso di persone da infettare e questo abbiamo fatto
sapendo che avrebbero approntato un luogo per mettere un freno all'emergenza e
soprattutto che i malati sarebbero stati tutti qui, tutti insieme pronti
all'attivazione - rifletté Negativo, mentre i suoi occhi dardeggiavano dal
bianco al nero come in una convulsa slot machine.
-Ti piace proprio dare aria alla bocca, è una costante di
voi uomini. Mi stavi più simpatico quando ti prelevavano il sangue con
quell'enorme macchina. Ne devi avere parecchio visto tutti i proiettili
speciali che abbiamo riempito con quella roba.
-Non è un tuo problema. Sento che la tua oscurità cresce ad
ogni omicidio.
-Man Killer non ti dice niente? Quello che mi ha dato
Warren, uno strano amuleto femminista o roba simile, mi permette di aumentare
il mio potere ad ogni uomo che uccido. Con le donne non succede niente. Avrò
bisogno di un bel po' della mia forza per strappare dai cardini quella grossa
porta metallica che vedo davanti a noi.
La indicò. Era l'ingresso alla quarantena. La porta
presentava una serie di protezioni, bande d'acciaio, e vari rinforzi che
andavano da una schermatura invisibile ad uno spessore di parecchi centimetri.
L'area che proteggeva era stata costruita da tecnici dello S.H.I.E.L.D. per la prima invasione dei simbionti e nel
tempo con l'avvicendarsi delle crisi aveva subito ulteriori migliorie fino
all'ultimo modello che rappresentava adesso l'estrema difesa contro l'avanzata
della coppia criminale.
-Mi tirerei su le maniche se le avessi- scherzò Man Killer
facendo una posa da body builder.
-Che ne dici di alzare le tue braccia muscolose poco
femminili e di tenerle bene in vista.
Quando Man Killer si voltò non riconobbe il tipo con
indosso una tuta in kevlar viola e nera, un casco con degli occhiali protettivi
e due pistole dall'aspetto high tech strette nelle sue dita guantate. Non
sapeva di trovarsi di fronte al mercenario noto come Paladin.
-Ci conosciamo?- disse la donna con evidente ironia.
-Non credo che abbiamo mai avuto la fortuna.
-Eri l'unico disponibile per stasera?
-E' il brutto degli appuntamenti al buio, esci sperando di
incontrare Elektra e finisci con la versione femminile di Schwarzenegger.
Man Killer si era accorta che i suoi uomini erano stati
messi fuori gioco e pensò che dopo aver sistemato quell'impiastro con le due
sputafuoco si sarebbe occupata personalmente della loro liquidazione.
-Hai visto Mr Negativo? abbiamo trovato uno di quelli con
la battuta tagliente.
Paladin senza preavviso sparò contro Man Killer. Non erano semplici
proiettili, ma piccole cariche a concussione che una volta sul bersaglio
esplosero con un fragore terribile spingendo l'ex atleta contro la porta.
L'impatto fu durissimo e Man Killer cadde in avanti lasciando un solco sul
pavimento.
-Sono anche uno di quelli che non si fa problemi ad
accarezzare un grilletto.
Paladin spostò le canne delle pistole verso Negativo
inquadrandolo.
-Non sono tipo da lavorare senza un compenso, ma questa è
anche la mia città e quello che gli avete fatto non mi è piaciuto per niente.
-Ti piacerà ancora meno quando avrò superato questa porta e
la vicinanza risveglierà i miei figli confinati nella quarantena e tutti
insieme ci apriremo all'avvento dell'Eclissi.
-Dovevi stare zitto, nella mia lista delle persone a cui
sparo più volentieri al primo posto ci sono i fanatici religiosi pazzoidi che
vomitano cazzate sulla fine del mondo.- il dito stava per far scattare il
grilletto. A Mr Negativo avrebbe riservato una scarica elettrica temendo che
quel tipo vestito come un gangster di serie b non avrebbe digerito la stessa
medicina della donna cannone.
Non arrivò a sentire il click perché una barella lo colpì
con forza alla schiena spingendolo all'indietro sopra il lettino. Paladin si
trovò in una folle corsa diretto verso una delle finestre. Non riuscì a
lanciarsi in tempo e attraversò il vetro sfondandolo e poi sotto di lui si
spalancò in modo vertiginoso il vuoto. Iniziò a cadere lontano dalla facciata
del palazzo per potersi afferrare. Avrebbe raggiunto nel giro di pochi istanti
l'asfalto se Moon Knight, appeso alla scaletta del luna Jet non lo avesse preso
al volo rischiando per lo strappo improvviso e il peso di Paladin di far uscire
l'osso della spalla.
-Portaci verso la finestra da cui è schizzato questo qui-
disse Moon al pilota francese, mentre Paladin ripresosi si attaccava meglio
alla scaletta. Allungò la mano.
-Paladin.
-Moon Knight.
-So chi sei.
-Non sono quel Moon Knight che conosci.
-Un sostituto. E' la moda del momento.
-Stiamo per tornare alla festa.
-Vorrei tanto sapere chi mi ha investito con la barella e
fatto fare il volo dell'angelo.
Disse Paladin staccandosi dalla scaletta e rientrando dalla
finestra rotta. Le pistole già in mano. Davanti a lui una figura vibrò come un
segnale della tv disturbato e poi prese le fattezze di Speed Demon.
Man Killer si era ripresa e stava colpendo con dei pugni
potentissimi la porta. Mr Negativo prese un coltellino e si incise i palmi di
entrambe le mani. Le chiuse con il sangue nero che gocciolava attraverso le
dita.
-Non è più orario di visite.- ridacchiò Speed Demon vedendo
Moon Knight che planava nel corridoio e poi aggiunse – prima o poi qualcuno
avrebbe fatto questa stupida battuta e visto che sono il più veloce ci ho
pensato io.
Frank Darabont aveva già incontrato quel demonio velocista
ed era quasi finito all'inferno grazie a lui. Rimaneva un avversario ostico
super potenziato, magico e lui anche se non era più un semplice sbirro poteva
contare solo sui trucchetti del suo costume. Paladin era una buona spalla, ma
quei tre erano di un'altra categoria.
***
Alphabet City. Avenue F
-Una chiesa?
Kate Bishop alzò lo sguardo lentamente colmando con gli
occhi la distanza che la strada dai pinnacoli gotici che si innalzavano come
antenne bibliche verso il cielo.
Il demone delle lacrime l'aveva condotta lì annusando
nell'aria l'odore di soprannaturale e dolore. La traccia finiva davanti al
portone intarsiato con alcune formelle che erano sul punto di staccarsi. Il
demone generò una spada e infilò la punta nel pertugio.
-Non avverto minacce. Il male è stato qui... ma la chiesa
non è stata abbandonata.
-Visto che non ho niente di meglio da fare in questa
dannata notte...- disse la giovane vendicatrice seguendo la ragazza demone
dentro il luogo sacro. Teneva una freccia pronta per ogni evenienza.
Quando entrarono nel grande ventre della chiesa anche Kate
che non aveva i poteri percettivi della sua compagna avvertì un profondo senso di
disagio, unito alla sensazione che in quel posto non si pregasse più Dio da
tanto tempo, ma che qualcosa di oscuro l'avesse sostituito. Vide il demone
staccarsi da lei e correre verso un angolo illuminato a sprazzi dalle candele
votive superstiti.
Quando Kate sbucò da dietro la colonna notò il demone
accovacciato davanti ad un uomo. Era Steve Gun e si teneva la pancia come
avesse paura che le sue budella scappassero via. Non c'era nessun squarcio
eppure lui sentiva il dolore che si prova solo dopo una coltellata feroce.
Steve Gun sgranò gli occhi davanti alla maschera puntinata
e lasciò fare al demone che delicatamente raccolse una sua lacrima.
-Cosa stai facendo? Quest'uomo ha bisogno di cure sempre
che con tutto il casino che è scoppiato in giro ci sia ancora spazio negli
ospedali.
-La sua lacrima ci racconterà cos'è successo qui.
Kate Bishop non l'ascoltava, si era girata cogliendo
qualcosa sopra all'altare divelto. All'inizio gli sembrava un crocifisso. La
posa era quella, ma poi guardando meglio nonostante l'oscurità venata
debolmente dalle candele capì che sulla croce non c'era un pezzo di legno o
ceramica, ma un uomo.
Sperò che fosse ancora vivo, mentre correva verso l'altare.
L'Averla era stato legato con le braccia aperte e le gambe incrociate, un moderno
Gesù. La sua maschera giaceva ai suoi piedi insieme al resto delle sue armi.
Spogliato come il salvatore dell'uomo di cui aveva preso il posto. Kate Bishop
doveva trovare un modo per tirarlo giù. Si guardò intorno. Si bloccò quando un
sibilo tagliò l'aria. Una treccia si piantò sotto l'Averla generando una rete
come quella degli acrobati. Altre tre frecce in rapida successione lo
liberarono facendolo cadere nell'abbraccio della ragnatela di corde.
Katie non aveva bisogno di voltarsi per sapere chi aveva
agito in quel modo con precisione millimetrica e capacità di analizzare e
risolvere in modo poco ortodosso, ma efficace le situazioni.
-Falco sapevo che appena avresti visto i miei messaggi
saresti venuto a cercarmi.
-Diciamo che ne hai lasciati così tanti da far impallidire
il pane di Pollicino. In città sta succedendo il finimondo e hanno appena detto
che l'ospedale della quarantena è diventato il teatro di uno scontro tra buoni
e cattivi. Dovrei essere là invece che farti da babysitter.
-Lo sai che non mi piace quella parola. Non vorrei
ricordarti le volte in cui sono stata io a salvarti il culo.
-Sboccata. Dov'è la tua amica che citavi nei messaggi?
-Stiamo dimenticandoci del poveretto crocifisso- Kate
Bishop indicò l'elmo in terra- Ti ricorda qualcosa?
-La prigione è pronta per il dio, lo attireranno in
trappola e l'eclissi sarà completa.
Il demone avanzava tetro alle spalle degli arcieri
sostenendo il corpo di Steve Gun.
-Immagino che the Mask al femminile sia la tizia magica di
cui parlavi negli sms. Ci ho messo un po' tra faccette e k a capire cosa stessi
dicendo.
-Non uso quella roba. Lo dici per farmi arrabbiare.
-Svegliamo il bel crocifisso addormentato e sentiamo se la
tua amica riesce anche a dire qualcosa di comprensibile che possa esserci utile.
Continua...